C’è una domanda che ritorna ossessivamente, come una formula stanca, come un eco che nessuno ascolta davvero: “Perché ChatGPT mi dà un Ascendente diverso?”
Non è la domanda in sé a irritare — ma il suo automatismo. La sua ripetizione priva di reale ascolto, il suo nascere non da un bisogno di comprensione, ma da una fame di definizione.
In questo episodio, partendo da quel fastidio che solo la ripetizione dell’inutile sa generare, proviamo a risalire verso l’origine simbolica dell’Ascendente, sottraendolo alle semplificazioni divulgative e riportandolo alla sua natura sacra: non un aggettivo, non una maschera, ma una soglia astronomica.
Parliamo di errori — tecnici, ma soprattutto concettuali.
Spieghiamo perché ChatGPT non può, per struttura, fornire un Ascendente corretto: perché non calcola, non converte, non conosce il cielo.
Ma il cuore del discorso è altrove: nel fatto che non è il software a sbagliare. È la domanda.
È il gesto di cercare nel luogo sbagliato. Di trasformare la soglia in diagnosi. Il simbolo in identità.
Eppure — come ricorda la parabola di Diogene — anche tra i rifiuti si può cercare l’uomo.
Anche un errore può essere fame.
Anche un gesto moderno, impreciso, impaziente, può contenere il seme di un’autentica ricerca.
Questo episodio è, dunque, un invito:
non a correggere il calcolo, ma a riformulare la domanda.
Non a ottenere una risposta, ma a riconoscere che il simbolo non risponde a chi interroga per sapere chi è.
Risponde a chi è disposto a diventarlo.
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