La cultura si crea su fattori storici, sociali, religiosi, antropologici, linguistici, artistici, persino culinari e gastronomici, che riflettono e costituiscono l’identità di una comunità.
E' saggio approfittare dell’ottima rete stradale andalusa, fra l’altro quasi completamente gratuita, e conviene affittare una macchina per esplorare il territorio e raggiungere anche paesini minori. Nei paesini non arrivi con il treno, magari, e siccome non li incontri non ti ci fermi neanche per un caffè.
Girando nei paesini si vedono subito i resti dell’eredità araba e mediterranea in generale, e soprattutto si incontra la gente, spontanea e socievole, accogliente e curiosa. Apri loro un po’ il cuore e ti accoglieranno a braccia aperte.
In Andalusia si può entrare in un bar con l’intenzione di prendere un caffé alle 5 del pomeriggio e uscirne alle 2 di notte, con 10 nuovi amici. Oppure isolarsi e non comunicare con nessuno e credere che gli andalusi siano persone che stanno solo fra di loro e che non sono interessati a nulla altro,magari soltanto perché io non parlo spagnolo e loro non parlano altre lingue che non sia la loro!
Il flamenco in tutto ciò è dietro ad ogni comportamento, ad ogni parola. E’ vero che molti andalusi non sono neanche lontanamente interessati a quest’arte (anche se tutti poi pensano di saperne più di te che sei straniero!). Essere andalusi non implica necessariamente amare il flamenco e ancor meno conoscerlo profondamente, non fare questo errore. Ma è anche vero che questa situazione geografica e culturale lo ha generato, e quindi il flamenco non può prescindere dalla terra che lo ha visto nascere e che lo nutre quotidianamente.
Viaggiare nei paesini ci permette di incontrare gli anziani, che sono i portatori di una tradizione veramente andalusa, non globalizzata, che sa ancora di vino fino anziché di gin tonic, di gazpacho e tortilla de patatas anziché di sushi e hot dog.
Paesini fuori dalle rotte turistiche, dove l’attrazione principale sono magari i prodotti della terra e della gastronomia, e non monumenti che richiamino l’attenzione di tanti viaggiatori e di conseguenza l’esigenza di vendere prodotti e servizi “globalizzati”. Gli anziani della Peña di Santaella in provincia di Cordoba sono probabilmente uguali ancora oggi ai loro bisnonni in termini di visione del mondo, di modalità di vita e di abitudini. Parlare con loro può essere interessantisismo, magari trovando argomenti di conversazione legati alla loro cultura. Capire cosa sia il flamenco per loro ci aiuta a capire cosa sia il flamenco nella sua storia. Un modo di riconoscersi parte di una comunità, un legante che accomuna e rende partecipi di una cosa condivisa.
Andare a Madrid e studiare baile o a Siviglia e studiare le migliori falsetas di chitarra non significa capire e sentire la culla che ha dato i natali al flamenco. Le sue radici non sono nel grande teatro di Siviglia o di Malaga o Madrid se non Londra o New York. Quegli spettacoli non sono le radici del flamenco ma frutti artistici di una elaborazione. Il flamenco ha avuto le sue origini nelle taverne, nella quotidianità di persone “normali” nella vita “normale”, ed è nato come forma spontanea di espressione artistica. Oggi si espande anche attraverso l’attività dei circoli flamenchi, le peñas, e le serate dei festival estivi, polo di attrazione sociale che vede il flamenco al centro della manifestazione con concerti all’aperto, ai quali spesso la gente partecipa più per convivialità che per passione dell’arte, condividendo cibo e bevande con familiari ed amici.
E’ lì che occorre cercare le sue radici, ancora oggi, nella spontaneità, nel modo di fare e di parlare degli andalusi, nella loro ironia e nella loro saggezza popolare. Ci sono luoghi in Andalusia in cui il flamenco fa parte del quotidiano, mentre in molti altri posti il flamenco è solo una delle mille musiche che si possono ascoltare alla radio, in tv o ad