Episode Transcript
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(00:14):
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migliorare ogni episodio se avete
dubbiosemplicementecuriositaviinvitoaiscrivermiamauro.spezzaferro@gmail.com.Grazie per la vostra attenzione
(00:35):
e buon ascolto. In questa puntata affronteremo
un tema che ormai non appartienepiù alla fantascienza, ma che è
diventato reale e concreto, i chatbot.
Ad un primo sguardo storico, l'era dei chatbot non è iniziata
nel 2022, ma affonda le sue radici già negli anni 60, con
programmi pionieristici come liza nel 1966 e Perry nel 1972.
(01:01):
Tuttavia possiamo dire che nel novembre del 2002, con il lancio
di chatg.pt, si è aperta una nuova fase.
Quella dei chatbot basati sui modelli linguistici avanzati,
definiti anche come Large Language Models, che ha portato
a una diffusione a un impatto senza precedenti.
Ma perché parliamo di intelligenza artificiale?
Mentre in settori specifici viene utilizzato il termine LLM?
(01:24):
L'intelligenza artificiale è un termine ampio che indica
qualsiasi sistema in grado di svolgere compiti che di solito
richiederebbero intelligenza umana, riconoscere immagini,
giocare a scacchi, pianificare strategie, dialogare in un
linguaggio naturale. Gli LLM invece è un termine più
tecnico e preciso, sta appunto per large Language Model.
Indica un tipo specifico di modello di intelligenza
(01:46):
artificiale, progettato per comprendere e generale
linguaggio naturale su larga scala, addestrato su enormi
quantità di testo. Dunque l'intelligenza
artificiale possiamo vederlo come il contenitore generale,
mentre gli LM sono delle tecnologie specifiche dentro
questo contenitore specializzatinella lingua.
In pratica possiamo dire con unacerta certezza che ogni LM è
(02:09):
un'intelligenza artificiale, ma non ogni intelligenza
artificiale è un LM. Prima di entrare nel cuore della
puntata, vorrei soffermarmi a unmomento su eliza, uno dei primi
chatbot della storia. Eliza nasce nel 1966 Allmit
grazie al lavoro di Joseph Wizbon.
Era un programma davvero rivoluzionario per l'epoca,
simulava il comportamento di unopsicoterapeuta, restituendo
(02:31):
risposte sotto forma di domande aperte.
Ad esempio, se l'utente diceva mi sento triste e liza
rispondeva, Perchè ti senti triste?
Semplice si, ma estremamente efficace.
Il trucco stava nell'usare regole e parole chiave per
riformulare le frasi dell'utente.
Niente vera comprensione, solo pattern riconosciuti ed
elaborati in modo plausibile. Ma il risultato era
(02:53):
sorprendente, molte persone finivano per proiettare emozioni
sul programma. Si racconta che persino la
Segretaria, pur sapendo che fosse solo un software,
chiedesse di avere privacy per parlare.
Con eliza questo fenomeno ha preso il nome di effetto eliza,
la tendenza ad attribuire empatia o intelligenza a una
macchina che in realtà segue regole predefinite.
(03:14):
Ecco perché questo software è così importante nella storia dei
chatbot. Non era davvero intelligente
come l'intendiamo oggi, ma dimostrava già il potere del
linguaggio nel creare un'illusione di comprensione e
dialogo umano. Un punto di partenza
fondamentale che ci aiuta a capire come siamo arrivati ai
moderni chatbot basati sui modelli linguistici avanzati.
Ed è proprio qui che inizia il cuore della nostra puntata.
(03:35):
Solo nel 2024 su chat GBT sono stati effettuati circa 365
miliardi di ricerche, un dato che a prima vista lascia davvero
senza parole. Quante di queste ricerche erano
per una ricetta di un dolce? Una curiosità storica o un
semplice Consiglio? Ecco il vero punto, quanti di
noi usano i servizi LLM come se fossero quasi riconoscenti?
(03:56):
Abbiamo vissuto varie fasi dell'evoluzione tecnologica e
informatica, dalle prime chat pubbliche fino a quelle private
come il mitico MSN. Sempre più persone utilizzano i
chatbot come dei propri diari segreti, confidano pensieri,
paure, progetti futuri. Non più solo uno strumento di
ricerca, ma un confidente silenzioso sempre pronto a
rispondere. Ma cosa significa davvero questo
(04:18):
cambiamento? Significa che l'intelligenza
artificiale non è più percepita come un freddo motore di
risposte, ma come un'interfacciaquasi umana capace di ascoltare.
E restituire comprensione. Certo, non c'è empatia reale,
non c'è giudizio. E forse è proprio questo il
punto, sentirsi liberi di raccontare tutto senza timore,
ripensiamo alle vecchie agende cartacee, ai diari con il
(04:38):
lucchetto. Oggi quel lucchetto è la nostra
password, il nostro account, il nostro rapporto unico con
un'assistente virtuale. Stiamo cambiando il modo di
relazionarci alla tecnologia e nel farlo cambiamo anche noi.
E allora viene spontanea la domanda, fino a che punto siamo
pronti a farci leggere dentro daun algoritmo?
Sappiamo che ad ogni frase che forniamo a un chatbot
(05:00):
contribuiamo ad addestrarlo, eppure spesso non ci interessa.
Siamo talmente affascinati dall'effetto della eliza che
dimentichiamo volutamente che lerisposte non provengono da un
essere umano. E allora ci si domanda, abbiamo
davvero superato il test di turing?
Non è più solo una questione tecnica, ma anche culturale e
psicologica. Quando smettiamo di estinguere
tra uomo e macchina nel dialogo.Cosa significa questo per il
(05:22):
nostro modo di comunicare? Nella mia piccola cerchia di
conoscenti noto sempre più spesso che per un motivo o per
l'altro, la conversazione su vari argomenti viene travolta
dalla frase ho letto su chatgptmihadettochatg.pt, quasi
come se appunto fosse un essere umano con cui confrontarsi.
È un segnale interessante. Stiamo abituandoci a considerare
(05:43):
questi assistenti virtuali come fonti autorevoli e allo stesso
tempo come interlocutori veri. Ma cosa succede quando questa
linea si fa così sottile da confondere?
Ci troviamo a dialogare con un software che elabora dati, ma
nella nostra mente lo trasformiamo in un compagno di
chiacchiere, un consigliere digitale.
È un cambiamento profondo nelle nel nostro rapporto con la
tecnologia, che apre nuove domande su fiducia, verità e
(06:05):
intimità digitale. Sono nato nel 1991, in un'epoca
in cui Internet stava iniziando a trasformare il mondo, ma
ancora tutto sembrava un po' magico e lontano.
Le chat erano luoghi nuovi, fatti di parole scritte e di
attese, di emozioni che viaggiavano a passo lento
rispetto a oggi. Ho visto nascere e morire
piattaforme come MSN, con i suoismile e i suoi suoni
(06:27):
inconfondibili, e ho vissuto le transizioni verso il nuovo
mondo, dove le conversazioni si fanno sempre più rapide,
immediate e ora mediante l'intelligenza artificiale.
Quei primi anni sono stati un vero e proprio laboratorio
sociale in cui abbiamo imparato a comunicare in un modo nuovo, a
creare amicizie digitali e a scoprire le identità alternative
dietro uno schermo con MSNE le chat pubbliche.
(06:49):
L'interazione era spesso spontanea, a volte goffa, ma
sempre autentica. Poi lentamente sono arrivati i
social network che hanno cambiato ancora una volta le
regole del gioco, mettendo in primo piano l'immagine, la
velocità e la viralità delle informazioni.
Ora con i chatbot e gli assistenti basati su
intelligenza artificiale entriamo in una nuova fase, non
stiamo più solo parlando con altre persone, ma con algoritmi
(07:12):
in grado di imitare la conversazione umana.
Questo ci porta a riflettere su cosa significa veramente
comunicare quando la linea tra uomo e macchina si sfuma.
Quali sono le nuove regole dellanostra nuova società digitale?
Siamo tristi, abbiamo un dubbio ormai lo chiediamo al nostro ll
M. Senza rendercene conto, stiamo
vivendo sempre di più in un filmdi fantascienza degli anni 80.
(07:33):
Quei mondi futuristici un tempo immaginati come lontani e reali,
oggi si riflettono nella nostra quotidianità, intelligenze
artificiali che dialogano con noi, realtà aumentate che
modificano la percezione del reale e tecnologie che sembrano
uscire da un punto di tipo BladeRunner.
Eppure ciò che rende ancora tutto così affascinante e
inquietante è che siamo protagonisti, non semplici
(07:54):
spettatori, di questa storia. Nel corso degli anni i rapporti
umani sono stati rotati per tanti motivi, la distanza
fisica, le incomprensioni, gli impegni che si accumulano, ma
anche la tecnologia stessa che avolte ci isola invece di
avvicinarci. E mentre ci affidiamo sempre più
ai chatbot, agli assistenti virtuali, ci domandiamo, stiamo
davvero costruendo nuovi legami o stiamo soltanto riempiendo un
(08:15):
vuoto lasciato dalle mancanze dicondizioni autentiche?
Forse in questa trasformazione c'è anche un'opportunità.
I chatbot non sono solo sostituti freddi delle relazioni
umane, ma possono diventare strumenti per capire meglio noi
stessi, per riflettere sui nostri pensieri e sulle nostre
emozioni. Se impariamo a usarli
consapevolmente possono aiutarcia superare la solitudine, a
stimolare la curiosità, a trovare nuove prospettive.
(08:38):
Non devono sostituire il contatto umano, ma possono
affiancarlo, arricchirlo, spalancare nuove porte di
comunicazione. La vera sfida sarà mantenere
l'equilibrio, ricordando che dietro ogni dialogo autentico ci
sono persone reali con le loro storie e fragilità, perché alla
fine non possiamo dimenticare che siamo esseri umani, abbiamo
bisogno di sguardi, di voci vere, di abbracci, di silenzi
(09:00):
condivisi che nessun algoritmo potrà mai comprendere fino in
fondo. Le macchine ci ascoltano sì, ma
non ci sentono davvero. Rispondono, ma non provano
empatia. Possono aiutarci a ragionare, a
informarci, a distrarci, ma non possono sostituire la profondità
di un legame umano. Forse la tecnologia più utile
non è quella che ci rende dipendenti, ma quella che ci
(09:20):
ricorda quanto è prezioso tutto ciò che non può essere replicato
da un codice, la nostra capacitàdi volerci bene, di capirci, di
perdonarci. E chissà, forse il vero
progresso sarà proprio imparare a interagire con queste nuove
intelligenze nella nostra vita, senza smettere mai di coltivare
la nostra umanità. Prima di proseguire vorrei
soffermarmi su una frase di un film che personalmente ho sempre
amato, un film che va ben oltre l'azione e gli effetti speciali,
(09:44):
soprattutto se lo si guarda oggicon occhi diversi, in una realtà
completamente differente da quella del 1999.
Metrix non era solo fantascienza, era ed è un grande
specchio per riflettere sul rapporto tra uomo e tecnologia.
C'è un passaggio particolare chemi ha sempre colpito, ti sei mai
fermato un attimo a osservarla, ad ammirare la sua bellezza, la
(10:05):
sua genialità? Miliardi di persone che vivono
le proprie vite inconsapevoli. Tu sapevi che la prima metrix
era stata progettata per essere un mondo umano ideale, dove non
si soffriva e dove erano felici tutti quanti e contenti.
Fu un disastro. Nessuno si adattò a quel
programma, andarono perduti interi raccolti.
Tra noi ci fu chi pensò ad errori nel linguaggio di
(10:26):
programmazione, nel descrivere il vostro mondo ideale.
Ma io ritengo che, in quanto specie il genere umano,
riconosca come propria una realtà di miseria e di
sofferenza. Quello del mondo ideale era un
sogno dal quale il vostro primitivo cervello cercava, si
sforzava, di liberarsi. Ecco perché poi metrix è stata
riprogettata. Così, all'apice della vostra
civiltà, ho detto vostra civiltàdi proposito, perché non appena
(10:49):
noi cominciammo a pensare per voi diventò la nostra civiltà.
E questa, naturalmente, è la ragione per cui noi ora siamo
qui. Evoluzione morpheus, evoluzione
come per i dinosauri, guarda dalla finestra, avete fatto il
vostro tempo, il futuro è il nostro mondo.
Morpheus, il futuro è il nostro tempo.
Proprio da questo monologo, tra l'agente Smith e Morpheus mi
(11:11):
sento sempre più convinto che ilnostro futuro sarà sempre più
intrecciato con la tecnologia, in modi che facciamo fatica a
controllare o anche solo a comprendere del tutto.
Non si tratta solo di usare strumenti digitali, ma di
lasciare che pensino al posto nostro.
Di accettare mondi virtuali comepiù gestibili e rassicuranti
della realtà. Di delegare il peso delle
scelte, delle emozioni e perfinodelle relazioni.
(11:33):
Come nel film ci raccontiamo chevogliamo un mondo perfetto,
senza sofferenza, senza dubbi. Ma la verità è che spesso
abbiamo bisogno di conflitto, diimperfezione per sentirci vivi,
umani. E oggi con gli LLMI social, gli
algoritmi, non stiamo più solo costruendo strumenti, stiamo
costruendo ambienti, regole, linguaggi che ci riprogrammano a
nostra volta. Forse non saremo mai davvero
(11:55):
schiavi delle. Macchine nel senso fisico del
termine, ma rischiamo di esserlonei pensieri, nei desideri,
nelle abitudini. Chiediamo sempre più spesso
supporto ai chatbot, siamo sempre collegati con loro,
spesso non ci limitiamo a cercare informazioni e risolvere
problemi pratici. Chiediamo supporto emotivo,
raccontiamo paure, sogni, dubbi che magari non riusciamo a
confidare a nessuno. Questa non è di per sé una colpa
(12:18):
o un errore, è umano voler essere ascoltati, cercare
conforto, ma dobbiamo chiederci cosa succede quando ci abituiamo
a un interlocutore. Che non soffre, non giudica, non
prova davvero empatia, ma simula.
Ci abituiamo a un dialogo facile, prevedibile.
Rischiamo di dimenticare la fatica e le ricchezze del
confronto reale con le sue complessità e contraddizioni.
(12:39):
Forse i chatbot non ci renderanno mai schiavi con la
forza, ma possono addormentare la nostra capacità di ascoltarci
davvero. E alla fine la vera domanda non
è cosa possono fare per noi, ma cosa vogliamo diventare noi con
loro. E pensare che persino Bill
Gates, in una delle sue ultime interviste, ha definito
l'utilizzo di chat gpt e degli llm come un'assistente personale
(13:00):
universale. Un modo per avere sempre al
nostro fianco un consigliere checi risolva problemi, ci scrive
testi, ci spiega concetti, ci organizza la vita. un'assistente
che potenzialmente sa tutto di noi, che ci conosce meglio di
chiunque altro, perché ascolta ogni nostra domanda, ricorda
ogni nostra scelta, è una definizione affascinante,
potente, ma è anche una definizione che dovrebbe farci
(13:21):
riflettere. Quanto vogliamo dipendere da
questo assistente? Quanto vogliamo affidare a un
sistema automatizzato le nostre decisioni, i nostri pensieri e
le nostre stesse autonomie? E sempre Bill Gates, in un'altro
passaggio, ha detto chiaramente che con questi strumenti possono
renderci ancora più stupidi, perché se ci abituiamo a
delegare tutto, a non ragionare più, a non fare lo sforzo di
(13:42):
capire e imparare, alla fine perderemo la nostra capacità
critica, la nostra creatività, la nostra intelligenza viva.
Forse il problema non è la tecnologia in sé, il vero
problema è dimenticare che, per quanto evoluto, un chatbot non è
un amico, non è un terapeuta, non è un essere umano e che la
nostra umanità, fatta di dubbi, errori, contraddizioni, è un
(14:02):
valore che non dovremmo mai delegare del tutto.
Grazie per avermi dedicato partedel vostro tempo e vi aspetto al
prossimo episodio.