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Come si fa da vicinarsi a un mostro sacro della letteratura come William Shakespeare senza
(00:11):
averne timore? Io lo fatto così, liberandolo dall'aura accademica, dalle interpretazioni impolverate
dai toni declamatori, riportandolo alla carne. I suoi personaggi sono sfaccettature di noi
e sì, Macbeth è la nostra ambizione, Otello il nostro tormento, Amleto il nostro dubbio, Romeo è la nostra
urgenza d'amare. Dentro Shakespeare c'è tutto ciò che siamo e tutto ciò che potremo essere.
(00:35):
Con questo podcast vi porto con me alla scoperta dei mondi segreti più affascinanti di William Shakespeare.
Il mondo che andremo a desplorare oggi è un mondo fatto di verità e menzogne,
di realtà ed apparenza, un mondo fatto di maschere e dubbi. È il mondo di Amleto.
Dopo averlo portato in scena con me per anni, tra teatri, bar, circoli e piazze,
(01:09):
ho capito che Shakespeare non è un monumento da ammirare in silenzio. È un uomo che si è fatto
largo tra la folla e che ha parlato a re e mendicanti, soldati e mercanti. Parla di noi, di tutti noi,
e per capirlo davvero servono libertà, immaginazione e coraggio. Bisogna sa per leggere tra le righe,
(01:29):
ascoltare i silenzi, immaginare ciò che il testo non dice, ma lascia intuire. Io sono Davide Lorenzo Palla
e questo è Shakespeare a Palla.
In questo episodio, Amleto. Ogni giorno tutti, in un modo nell'altro, indossiamo una maschera.
(01:52):
Tutti recitiamo. Non lo fanno solo gli attori. Tutti interpretiamo un ruolo. Lo facciamo al lavoro,
in casa, nelle relazioni. Abbiamo tante maschere. Siamo genitori, figli, amante, rivali, colleghi, amici.
Ci capita di fingere di essere forti quando dentro ci sentiamo fragili e sorridere quando in realtà
vorremmo piangere e urlare. Altre volte recitiamo solo per proteggerci. Ci sono volte in cui lo facciamo
(02:17):
per ottenere quello che vogliamo. Ci sono poi addirittura volte in cui fingiamo, persino a noi stessi,
per sopravvivere e non impazzire. Ma cosa cade? Quando il confine tra ciò che fingiamo di essere
e ciò che siamo realmente non si riesce più a distinguere? Quando il gioco diventa realtà e il
palcoscenico si confonde con la vita. Quando la maschera che indossiamo si impossessa di noi. Beh la storia
(02:41):
di Amleto parla proprio di questo. Però per iniziare a raccontarvela ho bisogno prima che facciate
volare la vostra immaginazione all'interno di un castello. Più precisamente all'interno del castello
di Elsinore in Danimarca intorno al diciassettesimo secolo. Elsinore è un piccolo centro sulla costa nord orientale
(03:04):
della Danimarca e che si affaccia sul punto più stretto dell'Øresund, il pezzo di mare che separa
appunto la Danimarca dalla Svezia. La cittadina si trova in una posizione strategica, dal 1420
controlla il traffico delle navi che vanno in rotta verso il Mar Baltico e che per passare di lì dovevano per
altro pagare un dazio. Certo, chi non pagava il dazio se la sarebbe vista con i cannoni di Elsinore è un
(03:30):
potere politico enorme e peraltro una rendita notevole se si pensa che davanti a Elsinore sono passati in 400
anni quasi due milioni di navi. In somma Elsinore era piccola sì ma parecchio importante.
Atto primo. Quando inizia la nostra vicenda e si alza la tela immaginaria per l'inizio del nostro
(03:52):
primo atto si respira una aria strana Elsinore, poiché il re di Danimarca è da poco morto in circostanze
misteriose. Punto da una serpe velenosa mentre riposava su uno splendido prato almeno questo è quello che
dicono. All'interno del castello nel salone dei ricevimenti troviamo nobili ambasciatori informatori
tutte quelle figure che oggi sarebbero probabilmente giornalisti politici blogger social media manager.
(04:18):
In somma è stata indetta una sorta di enorme conferenza stampa dell'epoca e sono tutti lì, sono seduti
nell'attesa che inizi. Vi è un immenso tavolo di legno dietro al quale possiamo osservare uno
splendido trono vuoto. Accanto al trono due sedie, sulla sedia di destra è seduta Gertrude, la
regina moglie del defunto re. E' una donna austera però bellissima che indossa un lungo vestito
(04:44):
nero, sull'altra sedia suo figlio, Amleto. Amleto è il principe di Danimarca, figlio di Gertrude e del
defunto re, quello che è da poco morto a causa della serpe velenosa. Amleto è un giovane molto amato dal
popolo, molto intelligente e acuto, scaltro. È un grandissimo osservatore che raramente parla a
(05:07):
sproposito. In questo momento Amleto è lì immobile, fissa il vuoto, sembra assente, sembra non accorgersi di nulla
e invece però si accorge di tutto. Sono tutti li che attendono una sua dichiarazione, ma lui non dice niente,
finché un rumore improvviso non interrompe il silenzio. È il frastuono della porta della sala conferenze
(05:30):
che viene spalancata. Entra Claudio, il fratello del defunto re, lo zio di Amleto che percorre
tutto il salone, se avvicina al tavolo di legno, ci gira intorno, guarda Amleto, Gertrude, la corte e poi
avvicinandosi al trono, ci si siede sopra. Eh sì, perché quello che ancora non vi ho detto è che
(05:52):
ora Claudio è il nuovo re di Danimarca! Ma come? Direte voi, teoricamente l'erede al trono dovrebbe
essere Amleto, il figlio del defunto re. Sì, esattamente. Se non fosse che da poco Claudio si è sposato con
la regina Gertrude, soffiando il trono al principe e diventando così re di Danimarca e Patrigno
(06:12):
di Amleto, il quale chiaramente non stravede per lui.
E qui Claudio inizia a fare un discorso bizzarro, poiché racconta di sentirsi triste e felice allo stesso tempo. Triste, sì, perché
gli è morto un fratello, ma felice, perché ha capito da poco di essere innamorato di Gertrude, e sposandola
(06:35):
ha coronato la sua felicità, diventando per altro, re di Danimarca. Claudio annuncia la prosecuzione del regno e
invita tutti a uno splendido banchetto per festeggiare la sua incoronazione, un grandissimo applauso nel salone e
poi tutti se ne vanno. Rimane però in quell'enorme salone voto. Amleto, lui non se ne va. Sente ribollire all'interno del suo
(06:58):
corpo un misto di dolore, rabbia, incredulità, si gira verso il trono voto e si ricorda di quando da
bambino suo padre, lo prese in braccio gli disse (07:04):
"lo vedi quel trono Amleto, un giorno, tu, ti
siederai lì". Proprio quel trono, su cui lui ora ha visto seduto lo zio. Amleto ripensa alle maschere
indossate dalla madre e dallo zio, nella farsa che è appena andata in scena a palazzo, sia il dolore che la
(07:24):
gioia lo disgustano, ha un turbine di pensieri in testa quando viene raggiunto da Orazio, un suo carissimo
amico che lo informa di una cosa sconvolgente. Da diverse notti si susseguono degli strani avvistamenti sulle
mura della città, uno spettro appare, terrorizzando le guardie e non si tratta di uno spettro
(07:46):
qualsiasi, ma di un fantasma in tutto e per tutto uguale al defunto re, il padre di Amleto. Ogni
notte, il re ha appena scomparso, appare, e poi vaga senza dire nulla come se cercasse qualcuno.
Poi, con lo spuntare del sole, scompare, senza lasciare traccia. Amleto non crede alle proprie
(08:09):
orecchie, deve verificare anche se non ha alcun senso, sente il bisogno di continuare a sognare,
vuole sperare, credere ai sogni alle visioni, e così si fionda sulle mura nella speranza di
poter incontrare quella visione. Stati d'animo contrastanti lo pervadono, spera di riuscire a vedere il
fantasma sulle mura, spera che possa essere suo padre, ma al contempo ha timore di vedergli il
(08:35):
volto trasfigurato dalla morte, vive un turbine di contrasti interiori quando improvvisamente,
il fantasma, appare. Lo spettro, uguale in tutto e per tutto al suo defunto padre, Amleto, subito
gli corre dietro, si lascia Orazio alle spalle e via, segue quello spettro che va a nascondersi in
(08:56):
un piccolo anfratto di roccia, qualche attimo di silenzio, poi il fantasma inizia a parlare,
rivelando ad Amleto poche semplici e terribili cose.
1. È lo spettro di suo padre, dannato a vagare nella notte. 2. L'infida serpe che lo punse
(09:17):
e gli tolse la vita, altri non è che Claudio, suo fratello, che gli versò del veleno
nell'orecchio, mentre riposava sullo splendido prato. 3. Vuole che Amleto lo vendichi per questo
turpe assassinio, ma senza torcere nemmeno un capello a sua madre Gertrude.
Poi, il fantasma si avvicinata a Amleto, allarga le braccia, fa per abbracciarlo, anche Amleto
(09:42):
si avvicina ha le lacrime agli occhi, vorrebbe dirgli un sacco di cose ma in quell'istante, canta
il gallo e così il fantasma svanisce nella rugiada del mattino.
Amleto resta nuovamente solo.
E qui c'è uno di quei momenti in cui la vita reale entra nel palcoscenico.
Infatti, l'incontro tra Amleto e il fantasma di suo padre nasconde un piano di lettura
(10:07):
molto personale che forse non tutti conoscono.
Partiamo dallo specificare che Shakespeare non era solo un drammaturgo, ma era anche un
attore un grandissimo uomo di teatro a tutto tondo.
Nell'Amleto pare che interpretasse proprio la parte del fantasma del re, il defunto
padre di Amleto.
Ma Shakespeare era anche un padre e quando Shakespeare ha scritto l'Amleto aveva da poco
(10:29):
perso suo figlio, un ragazzino di un dieci anni che guarda caso si chiamava Hamnet.
L'incontro quindi tra il fantasma del re e Amleto, può essere anche visto
metaforicamente come l'incontro tra Shakespeare e il suo figlio defunto Hamnet.
Nell mondo dell'immaginazione quindi questa scena riesce a ricucire il legame spezzato
(10:51):
improvvisamente tra padre e figlio.
Il palcoscenico diventa un anello di congiunzione tra la vita e la morte e il Bardo
è il funambolo che su quella linea riesce a compiere acrobazie inimmaginabili.
Amleto è da solo sbalordito, pallido come un cencio, esce dall'anfratto di roccia in cui
(11:16):
si era nascosto con lo spettro.
La sua mente ora è una lama, ha solo un pensiero, vuole vendetta e l'avrà.
Amleto ha un piano (11:23):
si fingerà matto, farà il pazzo, il full a corte, per indagare
e scoprire chi sono i veri responsabili della morte di suo padre e quando avrà stanato
i colpevoli li punirà con la sua ira.
E con il piano di Amleto che prende forma nella sua mente mentre il sole sale alto nel cielo
di Danimarca va a terminare il nostro primo
(11:45):
Atto Shakespeareano.
Atto II.
Il secondo Atto si apre nel piccolo ufficio di Polonio.
Polonio è un consigliere dell'Re
Anzi Polonio è il consigliere dell'Re
Nel senso che i Re passano, ma Polonio resta.
(12:05):
Polonio si sta rilassando, dondolandosi sulla sua piccola sediola di legno, quando improvvisamente
irrompe nel suo studio, Ophelia, sua figlia, che inizi a urlare disperata.
"Amleto impazzito, Amleto impazzito."
Allora, Ophelia è la figlia di Polonio.
Una ragazza bellissima cresciuta a corte a contatto con la famiglia reale e al fianco
di Amleto.
(12:26):
I due sono cresciuti assieme.
E sono sempre stati amici, con il passare degli anni, però, diciamo che la cosa si è evoluta.
Nel senso che si è passati dall'essere amici, a diventare un po' più che amici.
Sostanzialmente si vocifera a corte, che Amleto le abbia messo gli occhi addosso.
I più maldicenti dicono dirittura che Amleto non le ha messo solamente gli occhi addosso.
(12:48):
Sentito questo, Polonio è andato su tutte le furie e ha proibito alla figlia di frequentare
Amleto, lei, ha obbedito.
Ha indossato la sua maschera disinteressata.
E se pur contro voglia ha smesso di considerarlo.
Però ora riferisce al padre che da quando ha smesso di considerare Amleto, lui ha iniziato
a comportarsi in maniera veramente bizzarra.
(13:08):
E qui William Shakespeare ci narra per filo e per segno la follia di Amleto, dicendo
che il suo comportamento è un mix di stravaganza, follia, arguzia, cinismo.
Che poi...
Piccola precisazione. Nel teatro Elisabettiano, la figura del full rappresentava un personaggio,
ma un personaggio ben preciso, un buffone stravagante, nonché abile manipolatore di parole e
(13:33):
in grado di mescolare furbizia e follia.
Era l'unico il full che poteva permettersi di dire verità scomode anche ai potenti, agendo
fuori dagli scemi e senza il rischio di eccessive conseguenze.
Era tipo il matto del villaggio, a cui tutto è più o meno concesso, perché sì, un
po' di fa ridere e poi diciamolo, non lo prendi troppo sul serio.
(13:54):
È proprio per questo che Amleto ha scelto di fare il matto, il full, perché parlando
a ruota libera così a corte, dietro alla maschera del full, potrà investigare, scoprire
la verità. Che poi, attraverso questa ambigua follia, in realtà il personaggio di Amleto,
emerge in tutta la sua modernità, capace di proiettarci verso l'età rinascimentale, mutando
(14:16):
quelle che sono certezze in dubbi esistenziali, i famosi dubbi amletici.
Ma torniamo alla storia.
Polonio si convince che quella di Amleto sia follia amorosa.
Da buon consigliere, corre subito a informare la regina Gertrude che, preoccupatissima,
ha già mandato a chiamare due vecchi amici di Amleto con la speranza che in loro compagnia,
(14:39):
lui possa rinsavire, questi due amici sono Rosencrantz e Guildenstern.
Amleto, come li vede, gli dice subito che non li sopporta, non si fida di loro, e gli
dice anche che odia le persone che come loro indossano delle maschere fingendo una natura
che non gli appartiene.
Per lui i due sono solo dei ruffiani.
E loro, che diciamolo, oltre ad essere approfittatori non sono poi propriamente due cime,
(15:03):
rispondono subito ad Amleto, che se non sopporta chi indossa le maschere, sicuramente
non sarà contento del fatto che stanno giungendo a corte degli attori.
Non fanno tempo a finire la frase che effettivamente sono entrati a palazzo gli attori di giro.
Una compagnia si trovava nei presi di Elsinore e come spesso succedeva in epoca Elisabettiana
ha deciso di recarsi a palazzo per proporre uno spettacolo in cambio di un poco di danaro,
(15:27):
ma anche solo per un po' di cibo, un giaciglio, dell'ospitalità.
Cosa singolare è che lo stesso Shakespeare si è trovato nella condizione di quei comici
in alcuni momenti della sua vita.
Infatti, quando la peste colpiva Londra e i teatri della grande città venivano chiusi, lui
e la sua compagnia erano costretti a spostarsi per l'Inghilterra alla ricerca di palcoscenici
(15:49):
alternativi, recitavano dunque nelle locande, nei cortili, però anche nei saloni dei palazzi
nobiliari, a volte addirittura davanti alla regina Elisabetta in persona.
Era un teatro nomade che si adattava a luogo, al pubblico.
Forse è proprio lì, tra un maniero e un castello, che Shakespeare ha imparato a tenere insieme
il popolo e la nobiltà, e a fare ridere e riflettere tutto nello stesso respiro.
(16:12):
Come Amleto, vede questi attori, si illumina.
Un piano prende forma nella sua mente, organizzerà uno spettacolo per stanare il colpevoli. Ma, per
capire se il piano è attuabile, deve verificare che gli attori siano veramente bravi.
Chiede così al capo comico di recitare il famosissimo monologo di Ecuba.
(16:33):
E qui, anche se oggi questa richiesta, quella di Amleto, può sembrare strana, in realtà si tratta
di un monologo che il pubblico del Globe conosceva veramente bene.
L'Ecuba di Euripide era una tra le tragedie greche più conosciute nelle Europa del '500.
Però forse Shakespeare inserisce il monologo di Ecuba, non solo perché era noto, ma anche
perché sotto sotto Ecuba e Amleto
(16:56):
sono personaggi molto simili.
Personaggi destinati a soffrire.
E che cercano vendetta.
Il monologo parla di Ecuba, la moglie del re di Troia, e di quella sera in cui i soldati
Troiani convinti di avere vinto la guerra portarono l'enorme cavallo di legno, il cavallo di Troia,
appunto, all'interno della città.
(17:18):
Parla del momento preciso in cui nel bel mezzo della notte, il cavallo venne aperto lasciando
uscire dal suo corpo, come in un parto mostruoso, i soldati greci che danno inizio all'orrore.
Almeno questa è la premessa.
Ora il monologo che l'attore, recita ad Amleto.
(17:38):
Siamo a Troia.
Nella notte escono, dal ventre dell'enorme cavallo di legno, schiere di soldati assetati
di sangue e votati al saccheggio, all'assassinio, che cominciano senza essere visti ad
appiccare il fuoco alla città. E' la guerra, che torna a illuminare Troia in tutto il suo
(18:00):
splendore di morte.
Le case vengono devastate, le donne stuprate, gli uomini uccisi.
I soldati Troiani ancora assonnati, storditi, non riescono ad arrestare la furia dei greci,
Chaos, violenza, urla di panico, in ogni dove, Priamo, vecchio re di Troia, osserva la situazione
(18:22):
dal suo palazzo, poi prende coraggio, alza al cielo l'inutile spada, a lungo disusata, ma Ecuba,
sua moglie lo ferma (18:29):
"No!
Quale pazza idea ti è venuta?
Non servirà a nulla. Vieni qui, lascia le armi, rifugiati con me, prega gli dei, solo loro
potranno aiutarci". Ma in quel momento,
compare Polite, uno dei figli di Priamo ed Ecuba, che corre, urlando, in seguito dal temibile
(18:50):
Pirro, un guerriero spietato che con un ghigno malefico, e gli occhi iniettati di sangue,
già lo tiene sulla punta della lancia.
Polite incespica, fino a cadere davanti ai gnocchi dei genitori, e la lancia di Pirro lì lo
tra passa da parte a parte, ponendo fine alla sua vita tra urla strazianti di dolore.
Priamo non si trattiene, grida (19:12):
"Gli dei, te la faranno pagare"!!
Ma Pirro, esaltato dalla furia con un colpo netto, lo decapita, davanti allo sguardo terrorizzato
di Ecuba, che ora vede il sangue di suo marito, mischiarsi a quello del figlio.
Ecuba, viene presa, messa in catene, portata sulla spiaggia, come se fosse una schiava, ed è
(19:33):
qui che crolla a terra, si volta, e guardando la città di Troia, in fiamme, inizia a urlare:
"Io fui regina, e ora sono schiava, ebbi figli belli, e ora sono senza figli, senza città.
Non c'è giustizia a questo mondo, nessun dio, placherà mai la mia seta di vendetta, e io voglio
(19:58):
vendettaaaa"!
Non è mostruoso, che è un attore, riesca solo fingendo un sogno di passione, a forzare
(20:27):
l'anima a esprimere un'idea, e poi per effetto avere pallore al viso, lacrime agli occhi
angoscia nell'aspetto, la voce rotta, e tutto il suo agire che sposa forma a idea.
E tutto per niente, per Ecuba, ma che cos'è Ecuba per lui, o lui per Ecuba, da farlo tanto
piangere per lei?
(20:49):
Che farebbe, se avesse lui, il motivo, il copione d'angoscia che ho io, Amleto?
Beh, allora allagherebbe di pianto il palcoscenico, spaccherebbe al pubblico le orecchie
con monologhi tremendi, farebbe impazzire i colpevoli, sgomentare gli innocenti, sbalordire
(21:13):
gli ignari, e confondere infine le stesse facoltà di occhi e orecchie.
E io, io invece, torpido, moscio, stronzo, io cincischio. Sono un vigliacco? sono un vigliacco?
Chi di voi mi dice di sì? Chi è che viene qui, mi spacca il cranio? Mi strappa la barba?
Me la soffia in faccia? Chi di voi, Cristo dio, io lo accetterai!
E che un cuore di coniglio, non ho fegato, non sento il fiele amaro dell'insulto altrimenti
(21:41):
con le mie trippe di cialtrone, avrei ingrassato gli avvolti qui intorno, un mascalzone
sanguinario, puttaniere, spietato, sleale, lascivo, snaturato, una carogna, e io, figlio di un
caro padre assassinato, spinto, vendetta, a cielo, terra, assieme, io sto qui!
Sto qui! A sgravarmi il cuore di parole con voi! Che schifo! Che schifo!
(22:14):
Amleto ha deciso, lo spettacolo si farà, e su questa immagine, quella della linea di
demarcazione tra finzione e realtà che diventa sempre più sbiadita, va a chiudersi anche
il nostro secondo, atto, Shakespeareano.
Atto terzo.
(22:35):
Polonio è sempre più convinto che Amleto sia innamorato di sua figlia, così ha chiesto
a Ophelia di incontrarsi con lui nel giardino del palazzo per capire meglio la situazione.
Lui ascolterà di nascosto assieme al re, così da dare finalmente un nome a quella strana
follia. Ophelia ha consentito, ma in realtà, ha intenzioni
ben diverse, vuole riconsegnare al principi Amleto tutte le lettere che lui li le ha scritto,
(23:00):
lettere che parlano di nobili promesse mai mantenute, e di cui lei si vuole sbarazzare.
Ophelia è tesa, nervosa, quando, come è un'apparizione, lo vede sbucare dal nulla.
Amleto è confuso, pensieri come macigni lo tormentano, e se il fantasma che ha incontrato
(23:21):
non fosse suo padre, ma un'apparizione demoniaca che lo vuole mettere alla prova.
Allora che senso avrebbe la vendetta, che senso la morte, la vita?
Amleto non crede più in nulla, dubita della realtà stessa, ha solo una domanda che gli
rimbomba nella testa, nel cuore, è la domanda più famosa della storia del teatro e della
letteratura. E' la domanda delle domande, ossia (23:43):
"Essere o non essere. Questo è il problema.
È più degno, soffrire nella mente le pietre e i dardi scagliati dall'oltraggiosa fortuna,
o prendere le armi contra un mare di guai e cercare di resistere senza farsi travolgere.
(24:07):
Morire, dormire, e con quel sonno poter calmare i dolorosi battiti del cuore, morire, dormire,
sognare, magari.
Ecco, l'ostacolo, perché l'idea che in quel sonno di morte in cubi possano coglierci
ci ferma, è questo che prolunga in noi la vita, ma anche l'angoscia.
Chi reggerebbe le frustate, lo scherno di questa epoca, i torti degli oppressori, gli insulti
(24:32):
dei superbi, le fitte d'amor spezzato, le lungaggini dei giudici, l'insolenza dei burocrati,
il sarcasmo che il merito ottiene da chi invece non merita, nulla, quando da soli si potrebbe
chiudere il conto in quiete con un pugnale, ma chi porterebbe il peso di una vita stanca,
se non fosse per la paura di qualcosa di orribile dopo la morte?
(24:53):
È questa paura, è questa paura che ci fa vigliacchi, tutti!
Ophelia si avvicina lentamente ad Amleto, ma lui la scaccia via, malamente, gridandole
che è meglio che lei va da rintanarsi in un convento e poi se ne va.
(25:14):
Ophelia, crolla a terra, piange, sconsolata, mentre Polonio e il re non si capacitano di quello
che hanno visto.
Ma è arrivato il momento di cominciare lo spettacolo a corte, nel salone regale troviamo Amleto,
che sta dando indicazioni agli attori e anche qui c'è un momento in cui il teatro si confonde
con la realtà.
Shakespeare infatti, utilizza questo momento in cui Amleto spiega agli attori come bisognerebbe
(25:40):
recitare per fare bene gli spettacoli, per togliersi diciamo qualche sassolino dalla
scarpa.
Infatti, Amleto dichiara di averci la terribilmente con chi urla senza motivo, con chi agita le
braccia a caso, con gli attori che pensano che il teatro sia solo smorfie e voce grossa,
tutte cose che facevano gli attori amatoriali che Shakespeare mal digeriva.
(26:01):
Ma soprattutto se la prende con certe compagnie di giovanotti, quelli che a quel tempo
spopolavano Londra, gli Aquilotti, ragazzini che facevano spettacoli molto in voga che
però portavano via il pubblico al Globe e a Shakespeare che chiaramente non li sopportava
insomma una sorta di dissing dell'epoca in cui il Bardo lanciava stoccate, col sorriso
(26:23):
sul volto e con la penna in mano.
Ma torniamo all'interno del castello di Elsinore, dove Amleto ha organizzato uno spettacolo
perfetto, chiedendo alla compagnia di rappresentare un canovaccio scritto di suo pugno in cui viene
messa in scena l'uccisione di un re proprio per come gliel'ha raccontata il fantasma di
(26:45):
suo padre. Un sovrano che si sdraia su uno splendido prato e poi viene raggiunto dal suo perfido
fratello che gli versa del veleno nel orecchio e lo uccide, rubando gli poi la corona e la fede
nuziale. Mentre gli attori metteranno in scena questo spettacolo, Amleto scruterà le reazioni
di re Claudio. Se si tradirà in qualche modo, allora sì avrà la certezza che lui è il colpevole
(27:09):
e potrà ucciderlo, senza timore di cadere in errore. Lo spettacolo, comincia.
Nuovamente la linea sottile che divide la finzione dalla verità svanisce. Il palco scenico e la
vita reale si mischiano e Claudio non regge, ha una crisi. Il re sospende addirittura lo spettacolo
(27:31):
in preda all'ira e poi scappa via come se fosse stato trafitto dall'orrore della verità. Amleto
non ha più dubbi, Claudio e il colpevole. Non merita a pietà, verrà ucciso. C'è solo un ultimo dubbio
da fugare, un dubbio terribile. Sua madre, la regina Gertrude, è in qualche modo coinvolta? Amleto
(27:51):
inizia a camminare per raggiungere la stanza della madre, è una furia. Ma c'è un'altra persona
che ha già raggiunto quella stanza, Polonio. Lui è andato da Gertrude e la tranquillizzata, dice,
"Non vi preoccupate, Regina. Amleto sta venendo qui, ma non vi è nulla da temere. State calma, io mi
nasconderò dietro a questo tendaggio. E se vi sarà bisogno uscirò subito in vostro aiuto,
(28:14):
fate lo parlare. Probabilmente è follia amorosa". Il problema è che la regina è tutt'altro che calma,
le sudano le mani. Ha timore, è nervosa. Lei vuole parlare con Amleto, vuole dirgli che non può
continuare così. Lei ha tutto un discorso pronto nella sua testa, discorso che però svanisce
(28:35):
all'istante, non appena lui entra nella stanza. Amleto.
Ha gli occhi pieni di follia. La regina non sa cosa dire, le parole non escono dalla bocca,
poi poco alla volta come una valanga che prende forza sempre di più, le parole escono sia dalla sua
bocca che da quella di Amleto. Parole come macigni che travolgono. Un cumolo di rancore
(29:00):
malessere, insulti, veleni e accuse che volano dalla bocca di madre e figlio. Gertrude lo
rimprovera di avere offeso il padre con quella rappresentazione. Amleto, replica che è stata
lei a offenderlo sposando nel fratello. Poi un rumore dietro a una tenda. E Amleto che
in preda a un impeto di rabbia colpisce con la spada gridando (29:18):
"Chiunque fosse l'ho ucciso.
Ladro, spia, o topo che fosse. Ora, è cibo per vermi" e tra passata da parte a parte il corpo
di Polonio con la sua spada uccidendolo all'istante. E con questa immagine, quella di Amleto che
(29:39):
abbandona quella sala mentre la regina Gertrude crolla a terra piangendo disperata, con il cadavere
di Polonio che giace a terra in una pozza di sangue, con la follia di Amleto che non è più
finzione, ma è diventata realtà, con questa immagine cala la nostra tela immaginaria e va a
terminare anche il nostro terzo. Atto, Shakespeareano. Atto, quarto. Il quarto Atto si apre con un
(30:13):
addio. Amleto, a causa dell'omicidio in sensato di Polonio, viene costretto da re Claudio a partire
per l'Inghilterra e ora si trova su una enorme galea pronta a lasciare il porto. Ancora una volta,
ci troviamo davanti a persone che fingono. Nell'Amleto, lo avrete capito, i personaggi, molto
spesso bleffano, mentono, origliano, complottano, indossano una maschera e fingono una realtà,
(30:38):
una realtà che però non è la loro. Amleto ha il vento che gli soffia in faccia, gli occhi
gonfi di lacrime, di rabbia e frustrazione per il senso di disgusto e viltà che prova per
non essere stato ancora in grado di vendicare la morte del padre. Prova fastidio e rancore
verso i due compagni di viaggio che gli sono stati imposti. Rosencrantz e Guildenstern.
(31:00):
È tormentato dal pensiero che Claudio potrà bearsi agli occhi della regina, dicendo di
averlo salvato da una severa condanna, imponendo gli di partire. Ciò nonostante. Amleto,
finge che questa partenza, tutto sommato, gli stia bene. Sul molo, ci sono altri due personaggi che
(31:20):
indossano maschere. Non staccano gli occhi da quella galea, Claudio e Gertrude. Re Claudio
finge di avere fatto tutto il possibile per aiutare Amleto. Sotto la maschera però, tira un
sospiro di sollievo, insabblierà l'omicidio di Polonio e con Amleto fuori dai giochi
potrà gestire il regno senza preoccupazioni. Guarda l'orizzonte, poi si volta e tende la mano
(31:46):
a Gertrude. Ma Gertrude si scosta stizzita. Anche lei ha una maschera e la sua maschera finge
di accettare quella partenza come l'unica soluzione possibile. Ma il problema è che quella
funzione comincia a starle scomoda. In realtà comincia a mancarle il fiato sotto alla maschera.
(32:08):
Pensa che dopo avere perso un marito perderà anche un figlio. E' colpa mia. Si ripete. E' colpa
mia. E' colpa mia. E dopo la partenza di Amleto, Gertrude si chiude in se'
stessa. È terribilmente confusa, soffre, si sente in colpa, si sente abbandonata. Pensa
di essere l'unica donna al mondo a soffrire così. Ma non è vero. C'è un'altra donna che
(32:32):
si trova nella sua stessa identica situazione. E questa donna, la sua maschera di dolore
e follia, non riesce più a togliersela. È Ophelia. Ophelia è vestita di bianco. Ha una corona di fior in
testa e corre per il giardino del palazzo sotto la pioggia che da giorni continua a cadere dal
(32:53):
cielo. Sembra tornata a una bambina. Sembra quasi giocare. Incosciente, spensierata, ma
Ophelia non sta giocando. Cerca suo padre. Lo chiama, pronuncia il suo nome, lo cerca
in ogni luogo. Nella confusione della vita di corte, nessuno pensa più a lei. Tutti hanno
cose più importanti da fare o a cui pensare. E così lei corre sul prato fradicio di acqua
(33:18):
da sola. Amleto. Se ne ha andato senza nemmeno degnarla di un saluto, suo padre, Polonio,
è scomparso in una notte di caos, omertà, silenzi. Laerte, suo fratello, è lontano,
a studiare in Francia e chissà se tornerà mai in Danimarca.
E così Ophelia corre. Corre e li cerca. "Dove mio padre? Dove Amleto, Laerte? Papa? Amleto?
(33:44):
Laerte? Dove siete? Dai, Amleto, papa? Dove sei? Laerte? Almeno tu, Laerte? La
Laerte? Laerte? Laerte?" Laerte è il fratello di Ophelia. Voleva fuggire dal marcio
della terra danese. E così era andato a studiare in Francia, ma una volta in Francia viene
(34:06):
a sapere che suo padre morto in circostanza in misteriose ed è stato seppellito in silenzio,
senza neanche una cerimonia. E così si mette subito in viaggio per tornare in Danimarca,
diciamo che Laerte è un ragazzo che non ha molti dubbi sull'azione o non azione lui,
è per il fare. E così in un lampo arriva in Danimarca. E come mette piede sul suolo danese,
(34:29):
tira su un manipolo di ribelli con cui si fionda al palazzo reale, travolge le guardie,
sfonda le porte e irrompe nella sala del trono. Laerte tira fuori la spada e la punta
contro chi il re. "Dove mio padre?" "Lui non c'entra!" Grida la regina, accasciandosi al
suolo. Laerte avvicina la punta della spada al collo del re, che è costretto
(34:52):
ad alzare il mento al cielo. "Dammi mio padre!" Laerte sta per cacciare la spada nella
gola del re quando viene fermato da un rumore lieve, ma potentissimo.
Ophelia entra dal fondo della sala, con i piedi sporchi di sangue e fango, la veste lacera
(35:18):
che sfrega per terra, piange, ride, scherza, farfuglia delle parole che solo lei riesce a
comprende. Laerte, la guarda, la fissa negli occhi e in un istante capisce tutto perché
Ophelia, non è lì. Ophelia è in un altrove. Ophelia è impazzita.
(35:50):
Il re fa cenno a tutti di allontanarsi e la sala si svuota, così Claudio rimane da solo con
Laerte. E qui, re Claudio dichiara apertamente che l'assassino di Polonio è Amleto. E che lui
non ha potuto metterlo a morte perché Amleto è, pur sempre, il principe, nonché figlio
di Gertrude. Però, però, dice di non preoccuparsi perché Amleto ha le ore contate. Rosencrantz e Guildenstern
(36:14):
lo stanno accompagnando in Inghilterra e hanno con loro una lettera
che verrà consegnata al re inglese, nella lettera c'è scritto di giustiziare immediatamente
il principe Amleto, per alto tradimento. Tra amici regnanti ci si aiuta in questo genere
di cose e con ogni probabilità Amleto è già morto. Proprio quel momento, entra il tipico messaggero
(36:36):
Shakespeareano che ribalta tutto in un istante con un annuncio, dicendo che Amleto è in
Danimarca, no, aspetta. Ma come, direte voi, Amleto non doveva essere morto? Si, teoricamente,
si, però William Shakespeare, il Bardo, il grande, ci narra che la nave con a bordo Amleto
è stata assaltata da dei pirati, per una volta Amleto ha deciso di agire, ha tirato fuori
la spada, ha iniziato a che gridare (37:00):
"Bisogna essere per dio" e poi via, è saltato sulla nave
pirata. Ma un'ondata improvvisa ha allontanato le due navi e così Amleto è rimasto da solo
nella nave con i pirati. La nave diretta in Inghilterra, via è partita e lui è rimasto lì, allora
ha lasciato cadere la spada e ha detto (37:16):
"Ah, io sono Amleto, principe di Danimarca, ho
l'immunità parlamentare, se mi riaccompagnate a casa, verrete, ricoperti di soldi". Abulalè
abulalè. I pirati hanno iniziato a festeggiare, e così lo hanno preso, lo hanno riportato in
Danimarca e sono stati ricoperti di soldi, e ora, probabilmente se la stanno spassando
(37:37):
su un'isoletta caraibica con degli scolapasta in testa. Però come Laerte sente queste notizie
inizi a orlare (37:46):
"Io lo ammazzo quel figlio di un cane" però Claudio lo ferma, subito,
dice (37:52):
"non ti agitare Laerte, ci vuole pazienza, non ti preoccupare, io già un piano, un'idea
per uccidere Amleto, organizzeremo una sfida sportiva di fioretto fra te e lui". E laerte
non capisce, e quindi Claudio deve spiegare, tira fuori l'idea perfetta per l'uccisione
di Amleto. Praticamente, allora dice (38:10):
"Laerte, tu sei uno spadaccino abilissimo, e avrai un
fioretto affilato, mentre il fioretto di Amleto avrai il puntale sarà uno dei fioretti
sportivi, e sicuramente combattendo riuscirai a trafiggerlo e ucciderlo e Amleto morirà.
Però, se non bastasse, allora metteremo anche sulla punta del tuo fioretto appuntito, un
(38:36):
po' di veleno, potentissimo, così che attacca, attacca, attacca, ti basterà sfiorarlo in
viso, e il veleno entra in circolo e Amleto morirà! Però, se proprio non bastasse, ho un'idea,
mettiamo anche una perla avvelenata in una coppa di vino, così tra un attacco e l'altro,
attacca, attacca, attacca, io dico, Amleto, bevi un goccio di vino, lui beve il vino, quindi
(39:00):
se non puoi trafiggerlo, se non riesci neanche a colpirlo, lui beve il vino avvelenato e cadrà a
terra morto!
Cioè, diciamo, praticamente Claudio, questo giro, vuole proprio essere sicuro, sicuro, sicuro,
di togliersi di torno Amleto.
Che poi?
A me questa scena di Claudio, che cerca in tutti i modi di trovare lo stratagemma per
(39:21):
uccidere Amleto, mi ha sempre fatto un po' sorridere, che probabilmente anche al Globe,
una scena che faceva abbastanza ridere. Sì, era anche pensata per quello secondo me.
Cioè, allora questa doveva essere un po' una scena trasversale, diciamolo, al Globe,
in realtà era proprio il pubblico ad essere trasversale.
Un miscuglio di gente, varia, variegata, dai nobili in balconata agli artigiani che stavano
(39:45):
lì con la birra in mano.
Il teatro era poi situato fuori dalla città, era proprio accanto a bordelli, combattimenti
tra animali, cioè il Globe era un posto tutt'altro che silenzioso e reverenziale, non era il
teatro, come lo immaginiamo oggi, che quello arriva dopo con il teatro borghese, di concezione,
il teatro moderno. No lì c'era gente che rideva, che urlava, che commentava ad alta voce.
(40:09):
E Shakespeare lo sapeva benissimo.
Certe scene andavano pensate anche per loro per il popolo più ruspante, quello che amava
i doppi sensi, le battutacce e un bel po' di trivialità tra una coltellata e l'altra.
Il piano di Claudio però, è perfetto, Amleto morirà di sicuro.
Mai due, Claudio e Laerte, non fanno tempo a festeggiare perché in quell'istante una secchiata
(40:34):
di acqua fredda e gelida li riporta alla realtà.
Vengono infatti raggiunti da un urlo straziante da parte della regina che irrompe nel salone
gridando "Opheli è morta!" ma come?
Così, eh sì, proprio così, questa notizia arriva di colpo, come un fulmine a ciel sereno.
(40:57):
C'è un salice che cresce solo ruscello vicino al castello e laggiù mentre Ophelia appendeva
ai rami le sue lettere d'amore un ramo si è spezzato e lei è caduta nell'acqua.
Subito le vesti si sono gonfiate.
L'hanno tenuta a galla immobile come all'interno di un quadro algido, fino a che gli abiti hanno
(41:18):
cominciato a impregnarsi di acqua sempre di più, diventando sempre più pesanti, poi il peso
del vestito l'ha trascinata lentamente sul fondo, mentre lei continuava a fissare, con stupore
le nuvole.
Peraltro, non in molti sanno che un fatto simile accade proprio vicino a casa di Shakespeare, una
(41:38):
giovane ragazza morta annegata sul fondo del fiume Avon vicino a Bristol.
E forse il Bardo era rimasto in qualche modo colpito nel profondo da questa vicenda, tanto
da inserirne un rimando nel suo Amleto, decide in qualche modo di omaggiare quella fanciulla
di cui noi non sappiamo molto, ne di lei, ne della sua storia o delle sue ragioni silenziose.
(42:01):
Però, una cosa la sappiamo.
Sia lei e Ophelia hanno salutato la vita annegando le proprie speranze in una morte fangosa e solitaria.
E con l'immagine di Ophelia che giace sul fondo del fiume termina il nostro quarto Atto
Shakespeareano.
(42:21):
"Atto quinto"
Il quinto atto inizia con il cadavere di Ophelia che viene ripescato dalle vitre acque
che l'hanno cullata verso la morte.
E con un fulmine che irruento squarcia il pallido cielo di Danimarca (42:34):
inizia con il funerale di Ophelia.
C'è una buca nella terra, una fossa dentro alla quale troviamo una piccola barra di legno grezzo.
Dietro la buca ci sono re Claudio e Gertrude vestita a lutto che piange, disperata.
(42:58):
Vicino a loro un prete che non vorrebbe trovarsi lì. "La fanciulla forse si è suicidata.
Questa funzione non dovrebbe essere fatta".
Dall'altra parte della fossa c'è Laerte che trema in preda alla rabbia e al dolore.
Inizia a piovere.
Piccole gocce come lacrime che cadono dal cielo e vanno a sbattere contro la barra di legno grezzo.
(43:20):
Niente fiori, neanche ornamenti, la fanciulla forse si è suicidata.
Piove sempre più forte.
Claudio guarda il prete, ma lui non parla.
Piove sempre più forte e la pioggia si mischia con le lacrime di Gertrude che crolla a terra nel fango.
Claudio cerca di alzarla ma intanto fa cenno il prete di cominciare a parlare,
(43:41):
ma lui non sente ragioni, poi Laerte non regge e si butta all'interno della fossa.
Accanto alla barra inizia a inveire contro Amleto che uccidendo Polonio, ha fatto impazzire Ophelia portandola alla morte.
Amleto che osservava la scena di nascosto, salta fuori dal nulla e si getta nella fossa con Laerde.
I due iniziano ad azzuffarsi mentre il prete si allontana disgustato dicendo che lo sapeva che si trattava di una buffonata.
(44:06):
Poi, Amleto salta fuori dalla fossa e corre via con le lacrime agli occhi, mentre il cielo piange a di rotto è così,
che è stato celebrato il funerale di Ophelia.
Con rumore, lacrime e fango.
Tanto fango.
Amleto, ormai ha ampiamente oltre passato la linea che divide la follia dalla realtà.
(44:37):
Il suo unico desiderio ora è quello di sbugiardare re Claudio davanti alla corte.
È proprio per questo inaspettatamente decide di recarsi a palazzo e acconsente a partecipare alla sfida sportiva.
E come arriva a palazzo nel silenzio del salone,
Subito, Amleto, va a posizionarsi vicino al trono.
Questo è il momento giusto.
(44:58):
Ci sono tutti e tutti sapranno la verità.
Amleto sta per cominciare a parlare quando Claudio lo anticipa sul tempo.
"Non ti preoccupare, Amleto, ci penso io."
Poi si gira verso la corte ed esclama (45:09):
"Signori, tutto è pronto! La sfida può avere inizio!"
Vengono scelti i fioretti.
La arte sceglie per primo, poi sorride al re,
che nel mentre fa preparare le coppe di vino mettendo una perla avvelata in quella di Amleto.
"Una perla preziosa e degna di re nella coppa di Amleto.
(45:32):
Se vincere almeno un assalto questa perla sarà sua!"
Cominci alla sfida.
E Amleto inaspettatamente vince subito il primo assalto.
La scommessa è vinta.
"La perla è sua!"
Il popolo esulta.
Secondo assalto, uno, due, tre colpi.
Amleto attacca e vince anche questo secondo assalto.
(45:53):
Il pubblico è in visibilio.
"Un attimo signori, un poco di pausa!"
Il re si volta.
E vede la regina che asciuga il sudore dalla fronte del figlio.
Poi si alza, prende la coppa ed esclama.
"Signori, faccio un brindisi alla salute di mio figlio, Amleto!"
Gertrude, brinda e beve dalla coppa avvelenata.
(46:14):
La sfida inizia nuovamente.
e lei sente però che c'è qualcosa che non va, il volto si contorce.
Le manca il fiato.
La vista si offusca, le fischiano le orecchie.
Nell'ultimo barlume di lucidità.
Vede Amleto toccarsi un fianco da cui esce del sangue.
E gridare.
"Ma perché sono ferito?
Perché sto sanguinando?"
Amleto indica il fioretto appuntito di Laerte.
(46:36):
Poi gli si scaglia addosso, gli strappa di mano quel fioretto.
E con quello lo colpisce al volto, aprendogli una guancia.
Tutti scappano.
Poi una voce.
"Amleto!
E il vino!
Mi hanno avvelenata!"
Queste le parole che escono dalla bocca della regina non un addio.
Non un abbraccio, non una carezza, Gertrude
crolla a terra, con la schiuma alla bocca.
(46:58):
E muore!
Quando risuonano nel salone queste parole.
"Amleto!
Sei già morto!"
Laerte!
Confessa tutto al principio.
"Amleto!
La coppa da cui ha bevuto Gertrude era avvelenata.
Il fioretto con cui ci siamo feriti a vicenda.
Anch'esso era avvelenato.
E' tutta opera di Claudio."
(47:19):
Laerte chiede perdono al principe
Amleto e poi lo abbraccia come se fosse un fratello.
Dopodiché anche Laerte agonizzando
Muore!
Amleto!
È una furia.
Raccoglie il fioretto avvelenato e con quello si avvicina al trono.
Dove siede confuso, stordito, il re.
E lì, lo trapassa da parte a parte.
(47:40):
Inchiodandolo a quel trono.
E poi lo prende per i capelli lo costringe a bere il vino avvelenato.
Anche il re agonizzando muore.
E qui Amleto ha un fremito.
Perché realizza di essere in questo istante il re.
Lui è re di Danimarca, potrebbe avere tutto ciò che vuole.
Però, lui ora vorrebbe solo una cosa.
(48:02):
Vorrebbe vivere, ma ma è troppo tardi.
Perché la vista gli si offusca.
Il respiro si fa corto.
Le forze vengono meno e così,
con il suo ultimo alito di vita, Amleto, recita in quelle enorme salone,
le sue ultime battute che suonano nell'aria come una triste preghiera.
(48:23):
"Io... muoio.
E a voi tutti, io dico addio.
Voi che pallidi e tremanti guardate questa scena.
Siete parte muta.
(48:44):
Siete il pubblico.
Se solo avessi il tempo, quant'è cose avrei da dirvi.
Ma è troppo tardi.
Io... muoio.
Voi.
Vivete.
Raccontate voi, di me.
Del caso mio a chi non ne sa ancora.
Che nome ferito mi lascio dietro se tutto questo resta ingnoto.
(49:08):
Se mai ho avuto un posto nel vostro cuore,
raccontate a tutti la mia storia.
Io muoio.
Il veleno è forte e trionfa sul mio spirito.
Io muoio.
(49:29):
Il resto è silenzio."
E con il silenzio assordante del Principe Amleto
che inizia a diffondersi per tutta la Danimarca,
superando le barriere del tempo e dello spazio
(49:51):
con questa immagine cala, la nostra tela immaginaria
e va a terminare la tragica storia di Amleto.
[Applausi]
E come il sipario cala sulla fine di questo ennesimo capolavoro del bardo
(50:13):
e va a chiudersi anche questo episodio del podcast,
Io non posso che ricordarvi che le storie di Shakespeare
non finiscono mai con l'ultima battuta.
Sono destinati a restare lì, sospese,
perché parlano di noi, di quello che siamo
e di quello che potremo essere.
Ogni personaggio è uno specchio.
Ogni scena è un frammento del presente,
(50:34):
ogni battuta è un possibile spunto di riflessione.
L'immaginazione è la chiave.
Ci permette di attraversare il tempo,
di comprendere meglio il mondo e forse anche,
di cambiarlo.
Io sono Davide Lorenzo Palla
e questo è Shakespeare a Palla.
(50:55):
Shakespeare a Palla è un podcast prodotto
da T.D.B. Impresa sociale in collaborazione con FRAME.
I testi sono scritti e interpretati da me, Davide Lorenzo Palla
e ispirati alle opere originali di William Shakespeare.
La supervisione editoriale è di Silvia Di Pietro e di Veronica Scazzosi
con la collaborazione di Federica Cimminello, Chiara Luria e Alessandro Beltaro.
(51:18):
Le musiche originali sono di Tiziano Cannas Aghedu,
le registrazioni la post-produzione, il sound design
e gli arrangiamenti con la chitarra sono di Diego Minach.
Un ringraziamento doveroso va a tutti gli artisti con cui ho collaborato,
al pubblico e anche a chi ha ospitato i miei spettacoli,
contribuendo così alla crescita del mio lavoro.
Se volete maggiori informazioni, mi trovate su tutti i social,
(51:41):
come Davide Lorenzo Palla, oppure sul mio sito personale,
Davide Lorenzo Palla.com.
[Musica]
[Annuora]