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March 16, 2025 8 mins
Sul “Corriere della Sera” del 13 marzo 2025 leggiamo un reportage dall’Inghilterra del giornalista Luigi Ippolito che scrive questo: “A Londra il Ramadan sembra aver soppiantato la Quaresima: quest’anno i due periodi di digiuno e penitenza praticamente coincidono, ma tutta l’attenzione appare focalizzata sulla ricorrenza musulmana. Nei grandi supermercati ci sono pubblicità che annunciano «Sei pronto per il Ramadan?», Harrod’s sul suo sito propone cene per l’Iftar, il banchetto dopo il tramonto che spezza il digiuno, le catene di fast food offrono sconti, i parrucchieri stanno aperti fino a tardi per agevolare la clientela musulmana”. Non basta: nella capitale britannica sono state accese le “Luci del Ramadan” a Coventry Street, mentre nella centralissima Leicester Square c’è una installazione luminosa interattiva che vuole simboleggiare lo “spirito del Ramadan”.  L'islamizzazione europea avanza dunque indisturbata, come un'onda silenziosa. Da una parte si reclama di togliere dalle scuole il presepio o i canti di Natale, per non urtare la sensibilità dei non cattolici, ma nessuno si sognerebbe di chiedere la rimozione delle luminarie del Ramadan.  L’ostentazione del Ramadan da parte dei musulmani ci aiuta a capire la differenza con la nostra Quaresima, che non ha bisogno di luminarie, perché è uno spirito interiore. L’Islam invece si presenta come una religione rituale, che si limita a esigere dai propri appartenenti il rispetto dei cosiddetti cinque pilastri: l’affermazione verbale del monoteismo, la recita delle preghiere prescritte, il viaggio una volta nella vita alla Mecca, l’elemosina rituale e quello che è l’aspetto più noto: il digiuno del Ramadan. Una volta adempiuti questi obblighi esteriori, il musulmano è libero di immergersi nel piacere. Il digiuno del Ramadan non è penitenza, è ritualismo. Si digiuna per otto ore e si mangia a volontà nelle otto ore successive. Ciò sarebbe inconcepibile per un cristiano a cui nella Quaresima non viene richiesto di osservare dei semplici riti, ma di vivere in spirito di penitenza. Per questo Gesù stigmatizza  l’atteggiamento dei farisei, i quali osservavano con scrupolo le prescrizioni rituali imposte dalla legge, ma avendo il cuore lontano da Dio.   Nell’Islam non c’è spirito di penitenza perché non c’è spirito di sacrificio. E non c’è spirito di sacrificio perché l’Islam ignora, anzi respinge, quel sacrificio della Croce che san Paolo definisce “scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani”. (1 Corinzi 1, 22-23). L’Islam può essere definito una “religione del piacere”: non solo perché ignora il sacrificio, ma perché sostituisce nel Paradiso al concetto cristiano di felicità eterna quello di eterno piacere, di infinita voluttà. Il paradiso islamico, prevede innanzitutto le gioie dei sensi: banchetti squisiti, accompagnati da vini prelibati; gioie carnali con le sempre vergini a disposizione degli Eletti.  Il Papa Pio II, in una celebre lettera scritta nel 1461 al sultano Maometto il conquistatore, lo ammoniva con queste parole: nella vita eterna “la nostra felicità corrisponde alla parte più nobile del corpo, l’anima; la vostra  alla più vile, il corpo. La nostra felicità è intellettuale, la vostra  materiale. (…) La nostra è comune agli angeli e allo stesso Dio, la tua ai porci e agli animali bruti”.Proprio per questo edonismo, l’Islam può esercitare un’attrazione sui giovani secolarizzati d’Occidente. I giovani occidentali, come ogni uomo, aspirano al sacro, all’assoluto, ma sono corrotti dal relativismo, incapaci di sacrificio. L’Islam offre loro una religione che presenta un surrogato di sacro, senza chiedere nessun sacrificio reale. Ma la chiave del successo dell’Islam sta anche nell’appoggio finanziario che riceve  dall’OCI, la Conferenza Internazionale Islamica, che raccoglie 58 Paesi musulmani e da alcune delle nazioni più ricche della terra, come l’Arabia Saudita. Per questa ragione abbiamo trovato inquietante che l’11 marzo scorso le delegazioni degli Stati Uniti e
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