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August 5, 2025 9 mins
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ISRAELE-PALESTINA, DUE STATI È UNA SOLUZIONE IRREALISTICA di Riccardo Cascioli
 
Dopo l'annuncio il 25 luglio del presidente francese Emmanuel Macron, anche Regno Unito e Canada si sono messi sulla strada del riconoscimento dello Stato palestinese, pur con modalità diverse. Mentre la Francia si presenterà all'Assemblea generale dell'ONU a settembre con la decisione già presa, il premier britannico Keir Starmer si risolverà a fare il passo diplomatico se Israele non fermerà i massacri a Gaza, mentre il premier canadese Mark Carney pone la condizione di riforme democratiche ed elezioni entro il prossimo anno con l'esclusione di Hamas. Ora anche la Germania ci pensa e pressioni vengono fatte anche sul governo italiano.
L'obiettivo dichiarato è quello di spingere Israele a fermarsi e di dare nuovo impulso al processo verso "Due popoli, due Stati", che nei giorni scorsi anche il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, ha riproposto come unica soluzione.
Per quanto questa venga presentata come una strada obbligata, è vero piuttosto che, nella situazione attuale, si tratta di un vicolo cieco. Decisioni buone per fare un po' di propaganda, per dare l'idea di stare facendo qualcosa per la pace, per accontentare le crescenti minoranze islamiche nei Paesi occidentali, ma nella realtà si tratta di iniziative fuori tempo, inefficaci se non controproducenti.
I motivi sono molti, a cominciare dal fatto che storicamente c'è proprio la soluzione dei due Stati all'origine del conflitto: fu la soluzione approvata dall'Assemblea generale dell'Onu nel 1947 (Risoluzione 181), ma rifiutata dagli arabi, che portò subito alla guerra visto che nel frattempo Israele procedette in modo unilaterale. Da allora, in una situazione di conflitto permanente, si sono combattute tre guerre tra Israele e i Paesi arabi (1948, 1967, 1973) con successive modifiche dei confini (a favore di Israele), e soprattutto dal 1987 ci sono state continue rivolte nei territori palestinesi occupati da Israele. Sebbene oggi alcuni Paesi arabi abbiano cambiato posizione e riconoscano Israele, non sono cambiate le ragioni che sono alla radice di quel conflitto e, anzi, la situazione sul terreno si è complicata dopo quasi 80 anni di conflitto, senza contare l'odio reciproco che in questo ciclo di violenze è aumentato in modo esponenziale.
Ben difficile pensare che la causa di una guerra possa anche essere la sua soluzione.
MOTIVI PRATICI
Una finestra di opportunità si era in realtà aperta nel 1993 con gli accordi di Oslo firmati dal premier israeliano Yitzhak Rabin e dal presidente palestinese Yasser Arafat. E fu infatti in quel promettente periodo che la Santa Sede avviò dei colloqui sia con Israele sia con l'Autorità palestinese, arrivando ad allacciare relazioni diplomatiche con Israele già nel 1994 e contemporaneamente accordi di collaborazione con l'Autorità palestinese sfociati poi in un pieno riconoscimento diplomatico nel 2015.
Ma l'uccisione di Rabin nel 1995 (ad opera di un colono ebreo estremista) e il fallimento dei negoziati a Camp David nel 2000 tra il premier israeliano Ehud Barak e Arafat, hanno chiuso quella finestra, e tutto è cambiato sia in Israele sia nel campo palestinese, come vedremo più avanti.
Ci sono poi una serie di motivi molto pratici: oggi sono già 147 su 193 i Paesi che riconoscono lo Stato della Palestina (e molti altri hanno comunque rapporti con l'Autorità palestinese); se questo numero non ha inciso per nulla sul conflitto, in base a quale calcolo dovrebbe cambiare qualcosa se il numero salisse a 150 o 155? Solo perché si tratta di Paesi europei o occidentali? Un po' debole come argomento. In realtà gli unici riconoscimenti diplomatici che farebbero la differenza sono proprio quelli che mancano e continueranno a mancare: quello reciproco tra Israele e lo Stato palestinese e quello di Israele da parte dei Paesi della regione che lo rifiutano, Iran in testa. Non è una questione banale: che senso avrebbe avere due Stati confinanti - ammesso che fosse possibile imporlo - che non si riconoscono e continuerebbero la guerra per annientarsi?
Altra questione riguarda l'eventuale territorio sotto l'autorità palestinese: è davvero realistico, come alcuni propongono, riprendere in mano il piano del 1947, con tutti i cambiamenti che nel frattempo si sono realizzati sul terreno? Qualcuno può davvero pensare di spostare oltre mezzo milione di ebrei che oggi vivono tra Gerusalemme Est e la Cisgiordania (e peraltro sono i più estremisti) e magari anche i 2 milioni di arabi che invece vivono in Israele?
Chi rappresenterebbe poi lo Stato palestinese? Si dice l'Autorità palestinese (Anp), ma a parte il fatto che è abbondantemente discreditata fra i palestinesi stessi, questa raffica di riconoscimenti diplomatici è una reazion
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