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August 27, 2024 10 mins
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BOXE: E' GIUSTO CHE UN UOMO PICCHI UNA DONNA? CHE DUE DONNE FACCIANO A BOTTE? E DUE UOMINI? di Fabio Fuiano

Lo scorso primo agosto si è disputato, in occasione delle Olimpiadi di Parigi, un incontro di pugilato tra Angela Carini e Imane Khelif che ha suscitato un acceso dibattito sulla disparità biologica tra i contendenti. Un dibattito che, purtroppo, è rimasto su un piano superficiale e opinabile, anche a causa di elementi di informazione insufficienti per poter prendere una posizione equilibrata. Con questo articolo si tralascerà volutamente la questione relativa all'identità sessuale di Imane Khelif, o la valutazione sull'opportunità che un tale personaggio possa essere adatto a partecipare ad un incontro di boxe in tale o tal altra categoria. Queste sono questioni particolari che, molto opportunamente, vanno lasciate alla scienza medica, perfettamente in grado, alla luce dei progressi della genetica, di stabilire il genotipo di qualsiasi essere umano. Lo sforzo da fare è quello di ricondurre l'intera vicenda a principi generali che, in quanto tali, non possono essere messi in discussione.
Anzitutto, è fondamentale ribadire l'esistenza di una natura umana, oggettiva e immutabile, con una conseguente legge morale naturale che ingiunge all'uomo di agire conformemente a tale natura se vuol conseguire il proprio fine ultimo. Secondariamente, bisogna domandarsi se, tra gli sport esistenti, la boxe sia o meno conforme alla natura umana e, particolarmente, a quella femminile. Ecco il nocciolo della questione: se la risposta a tali interrogativi è negativa, allora si possono tranquillamente tralasciare tutte le discussioni conseguenti.
LA DOTTRINA DELLA CHIESA
La Dottrina della Chiesa in merito al tema dello "sport" ha avuto il suo sviluppo con i pontificati di San Pio X e i successivi. In particolare, papa Sarto, pur rilevando gli aspetti positivi dello sport, rivolgeva ai partecipanti al Concorso Internazionale di Ginnastica del 27 settembre 1908 l'invito a «non passare i confini della prudenza, non esporsi a pericoli» recando danno alla propria salute.
Nel suo Discorso agli sportivi romani del 20 maggio 1945, Pio XII parlava positivamente di uno sport che «concorre ad elevare il valore spirituale dell'uomo e, quel ch'è più, lo orienta verso una nobile esaltazione della dignità, del vigore e della efficienza di una vita pienamente e fortemente cristiana». Al tempo stesso, il Papa ricordava come questa concezione cristiana fosse lontana da quel materialismo «per il quale il corpo è tutto l'uomo! Ma come è anche aliena da quella follia di orgoglio, che non si rattiene dal rovinare con uno strapazzo insano le forze e la salute dello sportivo, per conquistare la palma in una gara di pugilato o di velocità, e lo espone talvolta temerariamente anche alla morte! Lo "sport" degno di questo nome rende l'uomo coraggioso di fronte al pericolo presente, ma non lo autorizza a sfidare senza una ragione proporzionata un grave rischio; il che sarebbe moralmente illecito».
Per quel che attiene alla boxe, la Chiesa ha spesso espresso la sua condanna per due principali ragioni:
1) perché richiede, per poter essere svolta, un confronto violento con l'avversario, mettendone in pericolo l'incolumità, se non la vita stessa;
2) a causa del clima di eccitazione violenta che esso provoca tra gli spettatori, analogo ai giochi gladiatori già condannati da sant'Agostino.
Basti ricordare, a questo proposito, un articolo dell'Osservatore Romano del 15 febbraio 1933 in cui si descrive «quel popolo che invade, assiepa, riempie sino all'impossibile gli stadi [...] pronto a dirsi truffato se la rissa coi guantoni non ha spaccato sopracciglia, infranto nasi, slogato mascelle, rotto costole, pesto almeno un occhio, regalata una e
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