TESTO DELL'ARTICOLO ➜
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8042I RISCHI E L'INGANNO DELLA PSICANALISI di Benoît-Marie Simon
Recentemente, di fronte a un gruppo di persone, un padre di famiglia giustificava il comportamento aggressivo del figlio, che picchiava i compagni di scuola, con la scusa che quest'ultimo non sapeva come incanalare il suo eccesso di energia. Ebbene, nessuno ha reagito! Segno di una tendenza generale a scusare a ogni costo ciò che una volta si chiamava cattiveria, cioè peccato. Sarebbe disonesto vedere in questo cambiamento di mentalità la semplice reazione a un presunto rifiuto di prendere in considerazione i condizionamenti che sminuiscono la nostra libertà. Da tempo, i manuali di morale hanno moltiplicato le distinzioni a questo riguardo. Detto ciò, la tentazione di non rispettare tutta la complessità delle situazioni umane esisterà sempre, ma per combatterla non è necessario sbarazzarsi di una saggezza che si basa su principi veri e onora la dignità umana fino al punto di riconoscere all'uomo la capacità di scegliere il male.
Gesù, è vero, ci ammonisce di non giudicare, perché solo Dio legge nel segreto dei cuori. Ma questo non significa che si debba assolvere tutti. Non confondiamo il determinare fin dove una persona è colpevole e il giudicare che un determinato atto è oggettivamente un peccato.
In questo senso il Vangelo ci esorta a correggere il fratello che pecca. E non confondiamo neppure il non condannare con l'assolvere. Insomma, non abbiamo l'autorità e la scienza necessarie né per condannare né per sentenziare che qualcuno non è colpevole. Eppure la psicanalisi decreta che le nostre scelte profonde sono frutto di meccanismi inconsci indipendenti dalla nostra volontà. E lo fa in nome di una teoria che non ammette contestazioni; ogni obiezione sarebbe, in realtà, una "resistenza" che conferma la validità della diagnosi. Non c'è via di scampo: il paziente deve convincersi che il terapeuta conosce meglio di lui il motivo delle sue scelte, sempre che non ne riscriva la storia. Insomma, le categorie della psicanalisi permettono di ignorare gli argomenti razionali di un contraddittore, anzi consentono di non prendere in considerazione ciò che dice.
LIBERI DAVVERO
Come spiegare il dominio quasi incontrastato di una teoria così opposta al buon senso? Di sicuro non sarebbe possibile se non fossimo così allergici a riconoscerci peccatori. Quando siamo fieri di ciò che abbiamo fatto, la nostra responsabilità ci esalta, ma quando ci sentiamo in colpa, ci pesa. Allora se una teoria "scientifica" pretende di liberarci da questi sensi di colpa, siamo pronti ad accettarla in modo acritico, anche se nega la trascendenza dello spirito sulla materia. Ebbene, solo lo spirito scopre ciò che è vero e buono in sé, mentre la sensibilità è strutturalmente interessata al proprio benessere materiale. In un caso, la vita è un susseguirsi di piaceri passeggeri; nell'altro, si cerca la vera felicità, cioè il bene che dà un senso assoluto alla nostra vita. Ecco perché i doveri morali che la nostra coscienza ci ricorda non ammettono eccezioni. Pertanto, obbedire alla propria coscienza è necessariamente un atto spirituale che non ha niente a che vedere con processi
fisici deterministici, come vorrebbe far credere la psicanalisi. In questo senso, trovare la felicità dipende dalle nostre scelte profonde, le quali non sono mai la semplice risultanza delle condizioni materiali nelle quali ci troviamo e che spesso subiamo. Infatti, si può essere ricchi e infelici, poveri ma in una pace profonda. Ma, secondo la psicanalisi, bisogna rinunciare definitivamente all'idea di poter raggiungere una pace vera e accontentarsi, invece, di compromessi instabili tra forze contrastanti. In fin dei conti rifiutando di chiamare peccato ciò che lo è, si incoraggia il peccatore a rimanere