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https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8010OMELIA II DOMENICA T. ORD. - ANNO C (Gv 2,1-12) di Giacomo Biffi
A Cana di Galilea - dice l'evangelista Giovanni - Gesù manifestò la sua gloria e i suoi discepoli cedettero in lui. La Chiesa continua dunque a proporci, come tema su cui riflettere, la "manifestazione", la "epifania" del Signore che si rivela in una luce sempre più calda e intensa, perché la nostra fede non si annebbi e non venga meno il nostro coraggio di essere quelli che siamo, cioè discepoli di Gesù, testimoni del suo Vangelo, uomini rinnovati e chiamati a infondere la novità dello Spirito nel mondo vecchio e intorpidito, ospiti felicemente invitati alle nozze eterne dell'umanità col Figlio di Dio.
Per la sua collocazione - all'inizio dell'azione salvifica del Messia - e per il grande rilievo con cui è narrato, questo episodio è più che un fatto: pare essere, nelle intenzioni dell'autore sacro, addirittura la raffigura zione emblematica della nostra vicenda più vera e del nostro destino. Questa pagina va dunque letta, per così dire, in controluce, perché non ci sfugga la sua verità più profonda, che vi è iscritta come in filigrana. Non sarà allora difficile scorgere negli inizi di queste nozze - dove sono pronte le giare di pietra per le purificazioni (e cioè gli aridi dettami delle prescrizioni legali), ma c'è mancanza del vino inebriante dell'a more - il vecchio rapporto tra gli uomini e Dio, il mondo perituro dell'alleanza antica, e, più generalmente, la situazione esistenziale senza gioia degli uomini per i quali Cristo non sia una presenza viva e operante.
E nella conclusione del racconto - nel suo lieto fine - si può vedere rappresentata l'efficacia liberatrice dagli incubi, dalle tristezze, dalle paure, e la capacità di rinnovamento per tutta l'umanità, donateci dalla venuta in mezzo a noi del Verbo eterno del Padre.
IL BANCHETTO TERRENO COME IMMAGINE DEL MISTERO EUCARISTICO E DEL DESTINO ETERNO DELL'UOMO
Gesù comincia la sua azione di salvezza nell'ambi to di un banchetto.
È un contesto che gli è caro, e noi lo ritroviamo spesso nelle testimonianze che ci parlano di lui. Egli ha pronunciato a tavola alcune delle sue parole più incisive e più belle. E a tavola, durante una cena, istituisce l'eucaristia e ci dona così il mezzo per tener sempre viva e attuale la totale dedizione del suo amore per noi.
Non gli importa molto di essere chiamato - come di fatto è stato chiamato - "mangione" e "beone": non si cura troppo dell'apparenza della virtù. Egli sa digiunare, ma non ama presentarsi come un professionista dell'ascetismo: quando digiuna non si mette in piazza, si nasconde nella solitudine del deserto. In pubblico preferisce mostrarsi come uno che sa apprezzare il buon vino e la buona cucina.
Sa accettare la durezza e le privazioni di una vita randagia, ma sa anche condividere la più semplice delle letizie umane, quella dello stare serenamente a mensa in compagnia di persone amiche. E proprio perché non sia sciupata questa letizia, a Cana compie il suo primo prodigio.
Gesù arriva anzi a raffigurare come un banchetto il traguardo, la sorte ultima, il destino eterno dell'uomo; e nell'ultima sera, congedandosi per sempre dalle mense terrene, dirà con la coppa del vino tra le mani: Io non berrò più di questo succo della vite, fino a che lo berrò nuovo nel Regno di Dio.
Come si vede, Cristo non biasima e non rinnega le rare e deboli gioie di questa nostra provvisoria esistenza. Piuttosto le avvalora e le carica di una significazione più alta, e ce le lascia perché ci ricordino la felicità definitiva e ci aiutino a sostenere l'attesa.
L'UNIONE TRA L'UOMO E LA DONNA, SEGNO DELL'UNIONE TRA DIO E L'UMANITÀ IN CRISTO GESÙ
A Cana, Gesù partecipa non a un pranzo comune, ma a una festa di nozze.
Questa, del ma