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April 29, 2025 8 mins
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FEMMINICIDIO, TRE CRITICITA' E UN SOSPETTO: IL POLITICALLY CORRECT di Tommaso Scandroglio
 
Un disegno di legge sul femminicidio è stato approvato dal Consiglio dei ministri il 7 marzo scorso, alla vigilia della Giornata internazionale della donna. La bozza che il Governo ha fatto circolare così recita: «Chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l'esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l'espressione della sua personalità, è punito con l'ergastolo. Fuori dei casi di cui al primo periodo, si applica l'articolo 575» del Codice penale, che prevede una pena non inferiore a 21 anni. Dunque, siamo di fronte ad un reato speciale: se l'omicidio viene commesso perseguendo alcune finalità la pena è certamente l'ergastolo. Qualora mancassero tali finalità la condotta regredisce a semplice omicidio, punibile solo eventualmente con l'ergastolo.
Questo reato autonomo presenta diverse criticità.
La prima riguarda il lato probatorio: i moti del foro interno per essere sanzionati devono appalesarsi in modo chiaro nel foro esterno. Tradotto, le malevoli intenzioni che muoverebbero l'omicida devono poi concretarsi in atti da cui è poi possibile risalire in modo inequivocabile alle medesime intenzioni. Ad esempio, secondo il Ddl, Tizio può scontare il carcere a vita per aver ucciso Caia perché la odiava in quanto donna. Occorrerebbero testi scritti, video, testimonianze che provassero non un generico odio di Tizio verso le donne, ma verso Caia in quanto donna. Molto difficile. Con il Ddl sul femminicidio si potrebbe rischiare allora di imbastire una processo alle intenzioni più supposte che provate.
Secondo inciampo: mancanza di tassatività della norma o indeterminatezza della fattispecie. Manca cioè la descrizione precisa delle condotte che potrebbero condurre il reo a scontare l'ergastolo. In altre parole, il cittadino deve conoscere in anticipo e con precisione quali atti confluiranno nel nuovo reato. Altrimenti la determinazione della fattispecie sarà in mano al libero giudizio dei giudici che è molto imprevedibile. Il problema, perciò, è la genericità di alcuni termini ed espressioni indicanti quelle motivazioni peculiari capaci di qualificare l'omicidio come femminicidio. Proviamo ad esemplificare per ogni finalità incriminatrice. La discriminazione verso la vittima in quanto donna. Tizio uccide Caia, sua collega di lavoro, per invidia: Caia ha avuto una promozione che Tizio pensava spettasse a lui. Facile far assorbire la motivazione riguardante l'invidia dalla motivazione "discriminazione in quanto donna", perché si potrebbe argomentare che chi invidia una donna per motivi professionali la discrimina. Ma lo stesso potrebbe avvenire per un uomo, ribattiamo noi.
L'ODIO HA I CONFINI SFUMATI
Passiamo all'odio verso la vittima in quanto donna. Cosa si intende per odio secondo il Ddl? Non è dato di saperlo. L'odio, al pari di tutti i sentimenti, ha i confini sfumati. Ma su quei confini il reo può giocarsi la "fine pena mai". Si correrebbe dunque il rischio che un giudice possa giudicare un certo atteggiamento anche solo antipatico dell'omicida verso la vittima come odio e un altro giudice invece avrebbe potuto giudicarlo penalmente irrilevante proprio perché ognuno interpreta il concetto di "odio" in modo soggettivo, non esistendo una definizione giuridica oggettiva e dunque vincolante per tutti.
Altra finalità dell'omicidio che potrebbe far qualificare quest'ultimo come femminicidio: la repressione dell'esercizio dei diritti e delle libertà della donna. In primo luogo, qual è la differenza per questo Ddl tra diritti e libertà? Non è dato saperlo. In secondo luogo: quali diritti e quali libertà configurano il reato di fe
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